Ora come ora il Blog è un’idea davvero poco originale per esprimere se stessi o gridare qualcosa a qualcuno, ma sembra sia il più efficace. Ed è per questo che è nato “L’Angolo di Fabio”, per dire quello che penso e condividerlo con gli altri. Riflessioni, pensieri e punti di vista…

mercoledì 8 maggio 2013

La storia di Lomerdo Rospo


C’era una volta un uomo minuto e tondeggiante dal nome improbabile: Lomerdo Rospo. Lomerdo è il nome. I genitori, dotati di grande fantasia e onestà intellettuale, hanno fin da subito, sentendolo nella pancia, deciso il nome che il nascituro si sarebbe portato per tutta la vita: Lomerdo. Petizioni e manifestazioni in tutto il mondo per cercare di non segnare per sempre questo giovane ragazzo dall’inprobabile nome. Ma l’anagrafe del suo paese d’origine, Merdopoli, ha deciso che non poteva cambiare nome perché questo ragazzo non si meritava altro che questo. Passavano gli anni e le primavere incominciavano a diventare terrificanti autunni. Questo ragazzo è cresciuto, giorno dopo giorno, in oasi infelici nella città che sventuratamente l’ha adottato. Da uomo maturo, Lomerdo, era diventato una persona triste e cupa, indispettito dalla vita e sempre scontroso contro tutti e tutto, maleducato, acido e sempre incazzato. L’esercito di Merdopoli, resosi conto di quanto Lomerdo fosse merdo, in cerca di nuove leve, lo arruola come ufficiale del REM (Regio Esercito di Merdopoli). Un ufficiale severo, puntiglioso, arrogante, presuntuoso, vendicativo, la faceva pagare a tutti e molto, ma molto invidioso. Insomma: uno stupido pezzo di merda! (tanto per utilizzare un fraseggio da caserma).
La sua vita, completamente donata all’istituzione, passava inesorabile senza che mai il suo brutto carattere cedesse il passo a una vita più tranquilla e serena. L’ultimo giorno come il primo.
Ed ora è arrivato il momento. Tocca salutare persone, che in ogni ordine di grado l’hanno odiato, e lasciare il solo mondo, che per una questione gerarchica, l’ha potuto sopportare. Fiumi di lacrime, parole sentite, quasi, commoventi e ringraziamenti come un assassino davanti alla sedia elettrica in cerca di comprensione e perdono. Come se due parole potessero cancellare una vita trascorsa male e fatta trascorrere male a chi con lui lavorava ogni giorno.
Passano i giorni e a lui aumenta la voglia di ritornare lì dentro, in quel palazzo dove da giovane tenente è arrivato tantissimi anni prima. Nostalgia di quel palazzo, di quell’istituzione e del lavoro che giorno dopo giorno portava a vanti con tutto se stesso.
Dopo una settimana nella sale ricreative di quel palazzo si vede spuntare un’ombra piccola e rotonda con un abito elegantissimo come se fosse in divisa, anche i colori di quell’abito ricordavano molto i colori della divisa del Regio Esercito di Merdopoli. Gli mancavano solo le medaglie, le spille e la sua inseparabile sciabola da grande uniforme. Arriva con un sorriso a trentaquattro denti, ma solo lui sorrideva.
Intorno a se il vuoto. Gente che consuma rapidamente e poi va via, alcun vanno via appena lo vedono e altri un po’ più lontano che commentano con parole poco gentili il suo arrivo. Lui prova a parlare con qualcuno, ma la gente senza neanche starlo a sentire, gli volta le spalle e se ne va. Fregandosene di quello che è stato e indispettiti dal suo arrivo. Gli unici a parlare con lui sono alcuni ragazzi, neo arruolati, che non conoscendolo si soffermano a dire due chiacchiere solo per rispetto nei confronti di una persona anziana.
Capisce, frequentando giorno dopo giorno quei luoghi, che non era più gradito in quegli ambienti che settimane prima aveva lasciato da comandante. Collezionava una serie infinita di porte in faccia e spalle girate.
La sua vita in quel palazzo finì quando il nuovo comandante, al tempo suo dipendente, fece una carta che vietava, vista la sua pressante presenza nell’ambiente, il suo ingresso all’interno del palazzo.
La sua vita, già grigia, diventò nera. I suoi giorni passavano nella sua grande casa, solo. Nel costante ricordo di quando era in attività, rammentando solo a se stesso tutto  il suo passato senza poterlo condividere con chi parlava la sua stessa lingua. Perso e abbandonato nei suoi ricordi senza che nessuno gli rivolgeva la parola.
Ancora qualche mese in quella condizione disperata fatta di tanta solitudine.
Solo in quella occasione, seduto su quel divano in piena e sempre più obesa solitudine che realizzò.
Realizzò che in fondo la vita può darti qualche stella sul petto e avere il potere, puoi comandare e essere temuto, ma se male hai fatto male avrai. Se con la gente ti sei comportato male noi puoi pretendere che la gente si comporti bene con te. Realizzò che tutta quella acidità, arroganza e cattiveria non paga, ripetendosi costantemente: “se fossi stato diverso… se mi fossi comportato diversamente…”. Ma soprattutto realizzo che, nonostante nella sua vita fosse circondato da tantissime gente, per comodità o per fora, era solo.
Fu così che dopo un anno esatto dalla sua pensione, Lomerdo, morì. Pieno di rimorsi e solo, come è sempre stato dalla nascita.