Ora come ora il Blog è un’idea davvero poco originale per esprimere se stessi o gridare qualcosa a qualcuno, ma sembra sia il più efficace. Ed è per questo che è nato “L’Angolo di Fabio”, per dire quello che penso e condividerlo con gli altri. Riflessioni, pensieri e punti di vista…

martedì 12 novembre 2013

Galeotto fu il vagone (l’uscita – ATTO II)

Leggi il resto del racconto:


Mi fermo un po’ più a lato dell’ingresso della stazione, dove ci sono delle panchine. E lì seduta, con le gambe accavallate e lo sguardo rivolto nel nulla, c’è Claudia, con dei jeans e una maglietta bianca a forma di canottiera con una scritta al centro. I suoi capelli sempre legati all’indietro. Scendo dalla macchina e mi avvicino, lei mi viene incontro e ci salutiamo.
“prego signorina, in carrozza.” Le apro lo sportello della macchina e lei si accomoda “Io sono ospite, tocca a te decidere dove andare”.
“Bene, allora andiamo a Giovinazzo. Conosco un bel posto, piccolo e carino.”
Mi piacciono le donne decise. “Allora si va a Giovinazzo!”
Usciamo da Molfetta, prendiamo la provinciale per Giovinazzo e ammazziamo il tempo chiacchierando. Indicandomi la strada arriviamo a destinazione, cerco parcheggio ed entriamo nel locale. Ci accomodiamo in un piccolo tavolo e ordiniamo due birre e, essendo in un locale di stampo spagnolo, anche tortillas farcite e burritos.
“Come hai trovato questo posto?”
“Ci sono stata un po’ di tempo fa con degli amici.”
“Mi piace che hai scelto un posto così per mangiare qualcosa. Come piace a me: un posto piccolo, con buona birra e del cibo sfizioso. Anche poco formale e confidenziale.”
“Sono contenta!” mi dice sorridendo.
Tra una chiacchiera e l’altra finiamo quello che abbiamo sul tavolo e finiamo l’ultima di due birre.
Le dico “proseguiamo?”
“Si!”.
Ci alziamo e andiamo a fare una passeggiata per digerire, ma non prima di aver preso anche due digestivi.
A una certa ora ci siamo messi in macchina e l’ho riaccompagnata a casa, la strada del ritorno è stata la parte più piacevole della serata. L’alcool ci faceva dire cose strane e i momenti esilaranti si sprecavano tra battute e piccoli scherzetti. Le sue indicazioni mi portano in una via un po’ fuori dal centro, dove riesco a trovare un posto di fronte al suo portone e, seduti in macchina, continuiamo a scambiare delle chiacchiere. Finché lei: “Fabio, vuoi salire? Beviamo qualcosa da me.” Non me lo faccio dire una seconda volta: “Va bene!”
Saliamo le scale e lei mi fa strada sciogliendosi i capelli. È la prima volta che la vedo con i capelli sciolti, si gira e mi dice: “come sto così?” – “Bellissima, come sempre!” Fino a quel momento quello che mi ha colpito di lei è stato lo sguardo e le gambe, adesso si è aggiunto un particolare in più: le natiche. Da quel jeans si può immaginare tutto e quello che m’immagino non dovrebbe deludere eventuali aspettative.
Apre la porta e mi fa entrare.
Sarà stato l’alcool o sarà stata la situazione, ma non fa in tempo a chiuderla che già le mie labbra sono a contatto con le sue.
Mentre ci baciamo lei mi guida verso la sua alcova.
Ormai mezzi nudi ci buttiamo sul letto e iniziamo con i preliminari.
E poi…
…il resto…
è poesia!

martedì 5 novembre 2013

Galeotto fu il vagone (l’uscita)

Leggi il resto del racconto:

“Ciao, Claudia, come va?” accostando le mie labbra alle sue guance e lei, contraccambiando, mi dice “tutto bene, tu?”
“Non ci possiamo lamentare!”
“Vorrei ben dire.” Sorridendomi.
Lei, come ieri, è bellissima. I capelli sempre raccolti all’indietro, un trucco invisibile e un paio d’occhiali da sole. Questa volta ha un vestito rosso che parte dalle spalle, coprendole, e arriva fino a un po’ più su delle ginocchia. La parte alta è chiusa con dei bottoni, al centro per stringere c’è una cinta in stoffa, annodata a fiocco, dello stesso colore del vestito, e nella parte bassa c’è una gonna che svolazza a ogni suo movimento.
Mentre in treno mi ha colpito il suo viso, questa volta mi hanno colpito le gambe: lunghe, lisce e proporzionate al resto. Insomma, belle.
Ci incamminiamo verso il centro e ci lasciamo dietro piazza Moro per addentrarci in Piazza Umberto. Fino a quel momento si è parlato di come abbiamo passato la sera prima, ma poi ci interrompiamo e il discorso non può che incentrarsi su come Bari fosse piena di extracomunitari. Alcuni sono lì per passare un po’ di tempo, altri sono lì per sbarcare il lunario e altri per traffici illeciti (almeno questo ci sembra). Proseguiamo verso la via più cool di Bari, la centralissima via Sparano (non so dove va messo l’accento, ma non è la via dove si spara a Bari). Camminiamo discutendo su dov’è andata la crisi, visto il via vai delle persone nei negozi delle marche più costose. Quella crisi che da qualche anno, ci dicono, è anche in Italia, ma che oggi, guardando tutta quella gente, sembra colpisca solo me e Claudia. Entriamo in un bar alla fine della via e ci facciamo un bel aperitivo. Seduti in quel caffè, come la canzone di Gino Paoli, lei mi dice: “Fabio, ieri ti sei spacciato per un imprenditore di vini… e oggi?”
“Sei davvero curiosa, Claudia”
“Sono donna!” replica sorridendo.
“Io in realtà... tu mi vedi così, ma… io sono un pilota d’aerei di linea che ha deciso di fermarsi a Gorizia. Giro il mondo, mi soffermo per visitarlo e riparto per un’altra meta. Ma il mio tanto girare mi riporta sempre, anche per lunghi periodi, nella mia amata Bari.”
“Caspita!” con viso sorpreso ma, secondo me, solo perché guardandomi non si direbbe che sono un pilota d’aerei.
“Ovviamente è una bugia!”
“Non vuoi proprio dirmelo?”
“Ok!” strizzandole l’occhio.
“Menomale!” replica.
“Sono un croupier.” Mi guarda con una faccia che sembra dire –questo mi sta dicendo un’altra cazzata– “sai di quelli che nel casinò stanno dietro un tavolo verde, ti danno le carte e ripartiscono i soldi?
“So chi è un croupier e so che mi stai dicendo un’altra cavolata.”
“E chissà…”
“Vabbè… ci rinuncio. E poi non voglio un’altra storia di fantasia perché si è fatta una cert’ora e dobbiamo andare a mangiare. Giuro, io potrei stare a lungo a sentire queste storie, ma il mio stomaco no. Andiamo!”
Io sorrido e finisco di bere il mio aperitivo e lei fa lo stesso, ci alziamo e andiamo via.
Camminiamo e giriamo a destra su Corso Vittorio Emanuele dove, dopo due passi, ecco un posto con un bancone pieno di ogni ben di Dio targate Bari. Tra cui la buonissima focaccia con variante mortadella all’interno, panzerotti fritti e al forno e alcune cose simpatiche da stuzzicare. Non ci sono dubbi, ci fermiamo qui. Ordiniamo e ci sediamo al fianco del balcone in uno dei piccoli tavoli.
Seduti e mangiando lei mi racconta che le piace giocare a tennis, segue a mozzichi e bocconi il calcio (le piace il Bari), Elisa è la sua cantante preferita e se dovesse lasciare tutto per trasferirsi in un posto diverso da dove vive, non ha dubbi: Australia, precisamente, Sidney.
“A cambiare le molle ai canguri?” rispondo io. Lei sorride e mi dice: “Non ti mando a quel paese solo perché è da poco che ci conosciamo.”
Io le racconto della mia passione per la Formula 1 e che le domeniche da marzo a novembre sono condizionate da quell’evento, quando ho voglia di seguire il calcio (tifo Bari anch’io) lo faccio comodamente sul divano e non vincola i miei impegni, Renato Zero è il mio cantante preferito, conosco le regole del tennis e ogni tanto lo seguo, ma la mia pazienza non supera il primo set e non lascerò mai l’Italia perché credo, da ottimista, che bisogna darle sempre un’altra opportunità. Anche se i bonus stanno esaurendo.
Parliamo un altro po’ e finiamo di mangiare quello che abbiamo nel piatto. Usciamo e lei ritorna al suo lavoro ed io a casa, non prima di concordarci per un altro appuntamento. “Facciamo alle otto di sera sotto casa mia dopodomani?” mi dice.
“Se sapessi dov’è casa tua, molto volentieri!” aggiungo.
“È vero!”, sorride, “allora facciamo fuori alla stazione di Molfetta, mi faccio trovare li. Mi raccomando, alle otto in punto.”
“Sarò puntualissimo come un orologio svizzero.”
Un abbraccio e un bacio da amici e ognuno per la propria strada.



Subito dopo averla lasciata cammino verso casa e penso già a dopodomani. È troppo tempo, e, conoscendomi, sono sicuro che la mia mente non penserà ad altro.
Così è stato.
Ma oggi sono pronto. Mi metto in macchina e parto per la ridente Molfetta non prima di essermi lavato (ovviamente), di aver lavato la macchina, fatto il pieno, comprato l’abre magic, prelevato in abbondanza (non sia mai che facciamo magre figure) e assicurato, dopo ore passate davanti allo specchio, che il mio semplice jeans e la camicia mi stiano bene.