Ora come ora il Blog è un’idea davvero poco originale per esprimere se stessi o gridare qualcosa a qualcuno, ma sembra sia il più efficace. Ed è per questo che è nato “L’Angolo di Fabio”, per dire quello che penso e condividerlo con gli altri. Riflessioni, pensieri e punti di vista…

martedì 22 ottobre 2013

Galeotto fu il vagone. (l’appuntamento)

leggi la prima parte del racconto: Galeotto fu il vagone. (l'incontro)

Le dico, dopo una serie di movimenti e fastidiosi rumori, “ma per caso è partito?”
“Sembra di sì.” Mi risponde con un piccolo sorriso.
“Senti Claudia, ho sempre pensato che la cosa bella di questo treno è che non fai in tempo a partire da Bari che arrivi già a Santo Spirito. Ed è per questo che preferisco il treno alla macchina. Ma in questo preciso istante credo che sia il suo più grande difetto. Quanto vorrei che Santo Spirito si trovasse nei pressi della Norvegia e Molfetta la fermata dopo”.
Sorride – “non sarà troppo lontano?”
“Vabbè… facciamo almeno dopo Bologna”.
“Meglio!”
“Vorrei che questo viaggio durasse tanto per poter rimanere un altro po’ a parlare con te”.
“Prossima fermata Bari Zona Industriale” ci interrompe la voce automatica del treno.
“Però! Una volta, quando andavo a scuola, se non te ne accorgevi tu, arrivavi a Foggia. Mentre adesso ti avvisano stazione per stazione. Fantastico!”
“È vero! Ma sono altri tempi adesso.” Doppio sorriso, il mio e il suo.
Continuo a parlare di come mi dispiace che questo viaggio finisse così in fretta. Non glielo dico, ma lei è la persona più interessante che abbia mai incontrato nel treno… fin dai tempi della scuola.  Non faccio in tempo a concludere il discorso che, tra una sviolinata di qua e una di la, su come è bello questo viaggio e su come menomale ho preso questo treno, la voce incalza a mio sfavore.
Prossima fermata Bari Palese.
Adesso non ho davvero più tempo e cambio completamente discorso.
“Claudia…” iniziando a parlare.
“Fabio…” mi interrompe.
“Mi hai chiamato?” faccio dello spirito. Lei sorride, non si aspettava la contro battuta, e mi dice: “dimmi.”
“La mia fermata è la prossima…”
“Oh… non ti sfugge proprio niente!” interrompendomi.
Rido e continuo “…e non vorrei finisse qui questa chiacchierata. Ti lascio il mio numero di telefono e se ti va, chiamami”. Prendo una penna e la Moleskine dal mio borsellino e incomincio a scrivere: Fabio, 339******* (col piffero che lo scrivo su questo Blog), quello del treno che scende a Santo Spirito. Strappo e glielo consegno, lei lo legge, sorride e mi dice: “grazie!”
“E poi?” le dico
“E poi, che?”
“Nel senso… e poi, una volta che ti ho dato il numero dopo averti fatto passare un piacevole oretta, perché non pensare in grande? Magari farti passare una piacevole serata”.
“Ci penso!”
“Pensaci!”
Prossima fermata Bari Santo Spirito.
Penso –quanto mi sta sulle palle questa voce elettronica–
Preparo le mie cose, saluto, le do un bacio sulle guance come si fa tra amici e scendo. Un ultimo saluto con la mano mentre il treno riparte e poi, giù nel sottopassaggio.
Con tutta la calma che mi contraddistingue, mi rimetto gli auricolari e proseguo verso casa e penso.
Mi rendo conto di non essere quel granché o meglio, di primo impatto non affascino e, quindi, devo sempre giocare la carta simpatia che non sempre a primo colpo funziona. Anzi, solitamente succede il contrario e la frase che mi sento dire spesso è: “e chi te la dà tutta questa confidenza” – da ambientarla nel dialetto/modo di dire che va da Torino a Palermo, da Bari a Gorizia, da Cagliari ad Ancona. E mi sono meravigliato che, finalmente, una donna ha apprezzato, è stata a sentirmi e, pare, le sia piaciuto questo mio modo di fare. Sono felice per questo e con un bel sorriso, cammino verso casa. Mentre sono a pochi metri penso, “mhò me lo faccio uno spritz!”. E qual è il miglior posto a Santo Spirito per uno spritz? Il bar AlBarAdAn: vicino casa, di ottima compagnia e con un viavai di gente strana che ti fa sorridere.
Mentre sorseggio il mio spritz, accompagnato dalle solite olive e code di gambero alla salsa rosa, squilla il telefono. Un numero che non ho in rubrica. Il sorriso è a trentasei denti.
“Pronto?” con una voce squillante e brillante.
“Ciao, sono io” con voce delicata.
“Buonasera dottore!” incalzo con una battuta che ricorda la famosa canzone di Claudia Mori.
“Mhè, non fare lo scemo” (ovviamente in dialetto).
Stranito, chiedo “chi sei?”
“Sono io, Mamma!”
-Mavaffanggul- penso. “Mamma che c’è”
“Quando rientri passa a prendere il pane!”
Sconfortato, bevo quello che resta tutto in un sorso, pago e mi dirigo, demoralizzato, verso il panificio più vicino.
Rientrando, ecco che risquilla il cellullare e ancora un numero non presente in rubrica mi appare sul telefonino.
“Pronto.” La mia voce è quella di uno sicuro che dall’altra parte c’è la mamma che ha appena cambiato numero di telefono.
“Ti sembra questo il modo di accogliermi al telefono?” con una voce squillante.
Riconosco la voce: non è mamma. Quindi, contento e ottimista dico: “ciao Claudia! Ci speravo!”
“Menomale! Io pensavo non mi riconoscessi”.
“Come potrei dimenticarmi di te? È stato il viaggio più bello della mia vita.” (un po’ da paraculo)
“Senti Fabio, pensavo… ma che ne dici se domani, a pranzo, ci vediamo in centro a Bari per mangiare qualcosa?”
“Preso! Mi libero per mangiare qualcosa con te”
“Perché sei una persona impegnata a Bari?”
“No, ma che significa? È un modo diverso per dire va bene.”
“Ci vediamo in stazione, al binario quattro ovest?”.
Sorridendo le dico “perfetto! A domani.”

mercoledì 16 ottobre 2013

Galeotto fu il vagone. (l’incontro)


Stazione di Bari, binario quattro ovest, ore diciotto in punto.
Il treno è sul binario, riesco a vederlo dall’ingresso laterale, con le porte chiuse, tutto spento e alcune persone iniziano ad arrivare. Ci sono anch’io tra queste persone con il mio ipod che riproduce ormai da tempo Chiara Civello. Arrivo al binario e dopo qualche minuto, finalmente, si aprono le porte ed entro cercando il posto migliore, il mio posto migliore -quello di sempre-: terza carrozza, perché solitamente si ferma all’altezza del sottopassaggio della stazione di Santo Spirito; prima fila di destra, dove c’è il posto singolo, perché puoi appoggiare i gomiti sulle gomitiere senza dover chiedere scusa e, a destra, perché dal vetro si riesce a vedere il mare; il corpo deve sistemarsi nella direzione della motrice, perché nelle accelerate, che sono più frequenti e fastidiose, si appoggia la schiena allo schienale.
Mi siedo e guardo il finestrino, sono le diciotto e sette circa quando a un certo punto sento una voce femminile, nella pausa tra una canzone e l’altra, che mi chiede se è libero il posto difronte. Garbatamente e indicando con la mano dico “prego!”, senza badare e continuando a sentire il mio ipod guardando nel vuoto fuori dal finestrino.  Solitamente non me ne curo mai di chi mi siede difronte, ma poi penso: “metti che è una bella ragazza?”.
Lo era.
Capelli neri e raccolti a coda nella parte alta della testa, grandi occhi profondi e di un marrone intenso, la bocca minuta e il collo scoperto è affusolato, liscio e ben distribuito. Ha un vestito bianco con tonalità nere qua e la che parte dal seno (né troppo grande né troppo piccolo, giusto, comunque ben coperto), lasciando scoperte le spalle, e arriva fino alle gambe. Un vestitino che sembra partire come maglietta e si snoda a pantalone all’altezza della vita dove c’è una cinta, stretto al punto giusto che quando ha accavallato le gambe tutte le forme hanno preso una linea dolce e sensuale. E per finire l’opera: i piedi, si vedono appena, scoperti da una scarpa aperta. Ben curata e senza troppo, anzi quasi niente, trucco. Bella e naturale. Anche lei con degli auricolari e presumibilmente anche lei ascolta musica. La guardo in tutta la sua bellezza da capo a piedi.
È un bel po’ che la guardo e lei se ne accorge. Solitamente quando capita distolgo sempre lo sguardo, ma questa volta non ce l’ho fatta e lei si gira dall’altra parte forse infastidita. Io continuo a guardarla finché lei non incrocia nuovamente il mio sguardo e, con tutta la calma di questo mondo, si toglie gli auricolari, mette le mani sulle gambe e mi dice: “perché mi guardi?”
“E?”, mi tolgo gli auricolari anch’io e spengo l’apparecchio.
“Perché mi guardi?”
“Io non la sto guardando, la ammirando!”
“Prego?”
“Sa… le cose belle non si guardano, si ammirano!”
Mi guarda sorpresa, quasi incuriosita e mi dice: “in che senso?”
“Le faccio un esempio: quando si va nella Galleria dell’Accademia di Firenze e ci si ferma davanti al David di Michelangelo, mica ci si ferma a guardare… la si ammira! Perché è una bellezza fuori dal comune”.
“Mi stai dando del David?”. Sorridendo.
“No. Anche perché lei è una donna e, per quello che mi riguarda, mi sono più simpatiche le donne che gli uomini. Poi quello è di marmo, per quanto raffigurato come un giovane è vecchio di qualche secolo ed è alto. E se mettiamo le informazioni al posto giusto: uomo, di marmo, apparentemente giovane e alto, se tanto mi da tanto come proporzioni… diciamo… mi preoccuperebbe stargli vicino come stiamo vicino io e lei. Poi, diciamocelo, dopo tanti anni li, immobile e con tutte quelle donne che lo osservano, il ragazzo potrebbe essere pericoloso avercelo difronte”.
Lei sorride con gusto e “bella la storia, ma smettila di darmi del lei; piacere, Claudia”.
“Fabio, piacere”.
La conversazione fino a quel momento è stata piacevole anche perché lei sorride e quel sorriso è davvero bello. Un sorriso a denti stretti, con la bocca minuta che si apre appena, non volgare e semplice, un sorriso che ti tranquillizza, ma soprattutto: affascina. Affascina tanto.
Lei: “sei di Bari?”
“Sì, da parte di papà. Venezia da parte di mamma. Ma sono nato qui, in questa terra meravigliosa ormai non più mia, aimè”.
“Cosa vuol dire non più mia?”
“Ormai sono anni che non vivo più qui. Mi sono trasferito da tempo a Gorizia, piovosa città dell’estremo nord-est ai confini con la Slovenia”.
“E che fai nella piovosa città?”
“L’imprenditore. Ho una tenuta sulle colline del Collio, zona molto ricca di vigneti, e ho un’azienda che produce vini per tutta l’Italia e nelle zone più importanti del mondo, ho un sacco di dipendenti e un fatturato molto alto”.
“Davvero?” – Mi guarda con un mix di disgusto per quel mio modo di fare e lo stupore. Ma penso più per quel mio modo di fare.
“Certamente… No!” – Scoppia a ridere e sorrido anch’io. “Tu invece Claudia, che fai, dove vivi?”.
“Io abito a Molfetta, ma lavoro a Bari e, contrariamente al tuo pseudo super lavoro, io faccio la commessa in un negozio… semplicemente la commessa” – piccolo ghigno.
Sorrido – “ragazza semplice”.
Si continua a parlare e a sorridere. Mi piace quel suo modo di essere.
La conversazione è interrotta alle diciotto e trentacinque quando un rumore molto fastidioso ci interrompe, il treno è pronto per partire.
E parte.