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il resto del racconto:
“Ciao,
Claudia, come va?” accostando le mie labbra alle sue guance e lei, contraccambiando,
mi dice “tutto bene, tu?”
“Non
ci possiamo lamentare!”
“Vorrei
ben dire.” Sorridendomi.
Lei,
come ieri, è bellissima. I capelli sempre raccolti all’indietro, un trucco
invisibile e un paio d’occhiali da sole. Questa volta ha un vestito rosso che
parte dalle spalle, coprendole, e arriva fino a un po’ più su delle ginocchia.
La parte alta è chiusa con dei bottoni, al centro per stringere c’è una cinta
in stoffa, annodata a fiocco, dello stesso colore del vestito, e nella parte
bassa c’è una gonna che svolazza a ogni suo movimento.
Mentre
in treno mi ha colpito il suo viso, questa volta mi hanno colpito le gambe:
lunghe, lisce e proporzionate al resto. Insomma, belle.
Ci
incamminiamo verso il centro e ci lasciamo dietro piazza Moro per addentrarci
in Piazza Umberto. Fino a quel momento si è parlato di come abbiamo passato la
sera prima, ma poi ci interrompiamo e il discorso non può che incentrarsi su come
Bari fosse piena di extracomunitari. Alcuni sono lì per passare un po’ di
tempo, altri sono lì per sbarcare il lunario e altri per traffici illeciti
(almeno questo ci sembra). Proseguiamo verso la via più cool di Bari, la
centralissima via Sparano (non so dove va messo l’accento, ma non è la via dove
si spara a Bari). Camminiamo discutendo su dov’è andata la crisi, visto il via
vai delle persone nei negozi delle marche più costose. Quella crisi che da
qualche anno, ci dicono, è anche in Italia, ma che oggi, guardando tutta quella
gente, sembra colpisca solo me e Claudia. Entriamo in un bar alla fine della
via e ci facciamo un bel aperitivo. Seduti in quel caffè, come la canzone di
Gino Paoli, lei mi dice: “Fabio, ieri ti sei spacciato per un imprenditore di
vini… e oggi?”
“Sei
davvero curiosa, Claudia”
“Sono
donna!” replica sorridendo.
“Io
in realtà... tu mi vedi così, ma… io sono un pilota d’aerei di linea che ha
deciso di fermarsi a Gorizia. Giro il mondo, mi soffermo per visitarlo e
riparto per un’altra meta. Ma il mio tanto girare mi riporta sempre, anche per
lunghi periodi, nella mia amata Bari.”
“Caspita!”
con viso sorpreso ma, secondo me, solo perché guardandomi non si direbbe che
sono un pilota d’aerei.
“Ovviamente
è una bugia!”
“Non
vuoi proprio dirmelo?”
“Ok!”
strizzandole l’occhio.
“Menomale!”
replica.
“Sono
un croupier.” Mi guarda con una faccia che sembra dire –questo mi sta dicendo
un’altra cazzata– “sai di quelli che nel casinò stanno dietro un tavolo verde,
ti danno le carte e ripartiscono i soldi?
“So
chi è un croupier e so che mi stai dicendo un’altra cavolata.”
“E
chissà…”
“Vabbè…
ci rinuncio. E poi non voglio un’altra storia di fantasia perché si è fatta una
cert’ora e dobbiamo andare a mangiare. Giuro, io potrei stare a lungo a sentire
queste storie, ma il mio stomaco no. Andiamo!”
Io
sorrido e finisco di bere il mio aperitivo e lei fa lo stesso, ci alziamo e andiamo
via.
Camminiamo
e giriamo a destra su Corso Vittorio Emanuele dove, dopo due passi, ecco un
posto con un bancone pieno di ogni ben di Dio targate Bari. Tra cui la
buonissima focaccia con variante mortadella all’interno, panzerotti fritti e al
forno e alcune cose simpatiche da stuzzicare. Non ci sono dubbi, ci fermiamo
qui. Ordiniamo e ci sediamo al fianco del balcone in uno dei piccoli tavoli.
Seduti
e mangiando lei mi racconta che le piace giocare a tennis, segue a mozzichi e
bocconi il calcio (le piace il Bari), Elisa è la sua cantante preferita e se
dovesse lasciare tutto per trasferirsi in un posto diverso da dove vive, non ha
dubbi: Australia, precisamente, Sidney.
“A
cambiare le molle ai canguri?” rispondo io. Lei sorride e mi dice: “Non ti mando
a quel paese solo perché è da poco che ci conosciamo.”
Io le
racconto della mia passione per la Formula 1 e che le domeniche da marzo a
novembre sono condizionate da quell’evento, quando ho voglia di seguire il
calcio (tifo Bari anch’io) lo faccio comodamente sul divano e non vincola i
miei impegni, Renato Zero è il mio cantante preferito, conosco le regole del
tennis e ogni tanto lo seguo, ma la mia pazienza non supera il primo set e non
lascerò mai l’Italia perché credo, da ottimista, che bisogna darle sempre
un’altra opportunità. Anche se i bonus stanno esaurendo.
Parliamo
un altro po’ e finiamo di mangiare quello che abbiamo nel piatto. Usciamo e lei
ritorna al suo lavoro ed io a casa, non prima di concordarci per un altro
appuntamento. “Facciamo alle otto di sera sotto casa mia dopodomani?” mi dice.
“Se
sapessi dov’è casa tua, molto volentieri!” aggiungo.
“È
vero!”, sorride, “allora facciamo fuori alla stazione di Molfetta, mi faccio
trovare li. Mi raccomando, alle otto in punto.”
“Sarò
puntualissimo come un orologio svizzero.”
Un
abbraccio e un bacio da amici e ognuno per la propria strada.
Subito dopo averla lasciata cammino verso
casa e penso già a dopodomani. È troppo tempo, e, conoscendomi, sono sicuro che
la mia mente non penserà ad altro.
Così è stato.
Ma oggi sono pronto. Mi metto in macchina e
parto per la ridente Molfetta non prima di essermi lavato (ovviamente), di aver
lavato la macchina, fatto il pieno, comprato l’abre magic, prelevato in
abbondanza (non sia mai che facciamo magre figure) e assicurato, dopo ore passate
davanti allo specchio, che il mio semplice jeans e la camicia mi stiano bene.
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